Don Giovanni

Legittima difesa

Uno che uccide un aggressore, per difendere se stesso e la propria famiglia non è un eroe, come qualcuno ha detto. E’ semplicemente una persona che ha compiuto un’azione legittima. Cerchiamo di non usare termini a sproposito. Eroe è uno che si getta nel mare in burrasca per salvare un bagnante sconosciuto che sta annegando. Eroe è chi si getta tra le fiamme per salvare un bambino che neppure sa chi sia. Chi difende se stesso e i suoi beni tutela semplicemente la propria incolumità e il proprio patrimonio; chi difende i suoi cari adempie un dovere morale. Purtroppo le leggi vigenti e la giurisprudenza dominante sembrano far di tutto per impedirlo, schierandosi dalla parte dell’aggressore, anziché della vittima. Così l’aggressore diventa vittima e la vittima diventa aggressore. Se ne sentono delle belle. Qualcuno dice che la vita dell’aggressore è più importante del patrimonio dell’aggredito. Può esser vero, ma se uno mi entra in casa di notte non posso sapere che intenzioni abbia, se sia armato o no, se intenda soltanto derubarmi o sia anche disposto a uccidermi, o persino a far strage della mia famiglia. Un vecchio signore che è solito blaterare sciocchezze in un programma televisivo domenicale dove le discussioni finiscono quasi sempre in baruffa verbale, tra invettive che si sovrappongono in un caotico concertato (definirlo rossiniano sarebbe far insulto a Rossini) è arrivato a dichiarare che l’unica cosa giusta da fare è chiamare i carabinieri. Bravo! Se mi trovo davanti un figuro armato che mi intima “O la borsa o la vita”, gli devo rispondere: “Aspetta che chiamo i carabinieri!” Mi fa venire in mente quella storiella del ladro che, sorpreso in flagranza di reato da un carabiniere, si sente dire. “Sta’ qui un momento, che corro in caserma a prendere le manette”.

Una bella risposta a chi ragiona come quel vecchio (mi è antipatico come il Commendatore che io sbudellai per legittima difesa) è venuta in questi giorni da un galantuomo come Carlo Nordio, un magistrato (ora in pensione) che il politicamente corretto definirebbe “servitore dello Stato”. La definizione non mi piace neanche un po’. Nessuno dev’essere servo di nessuno, tanto meno dello Stato. Neppure della Giustizia? No, piuttosto un paladino della Giustizia. Credo che una persona come Nordio piuttosto che applicare una legge criminale approvata democraticamente secondo le procedure costituzionali si sarebbe dimesso. Al contrario di quel che fecero molti magistrati al tempo del Nazismo e del Fascismo, che applicarono le leggi razziali senza batter ciglio. Servitori dello Stato? Indubbiamente: molto spesso, prima dello Stato nazista e fascista e poi, senza soluzione di continuità, dello Stato democratico costituzionale nato dalla Resistenza. L’importante è servire, non importa chi. Gente degna soltanto di disprezzo.

Nordio è un uomo d’altra pasta. Il suo ragionamento è ineccepibile. Dice che il codice penale Rocco, ancora in vigore in Italia, risente dell’ideologia fascista dominante all’epoca in cui fu introdotto. Se lo Stato sta al di sopra dell’individuo, se la libertà del cittadino si risolve nella libertà dello Stato, se solo lo Stato è detentore e garante ultimo dei principi etici, anche la difesa dell’individuo compete unicamente allo Stato, e solo in casi eccezionali si può ammettere la legittima difesa da parte dell’aggredito. Da un punto di vista totalitario di matrice hegeliana – qual era l’ideologia di Alfredo Rocco, personaggio di alta levatura intellettuale, ben lontano dal fascismo dei manganelli e dell’olio di ricino – la normativa è del tutto coerente, ed è anche così intelligente da riconoscere le dovute eccezioni: cosa che il nostro vecchietto non fa (crede di essere un gran democratico perché, se non erro, è stato un militante di “Scelta civica”, e invece è più fascista dei fascisti). In un sistema davvero liberale, dove l’individuo è al di sopra dello Stato – dice Nordio – la legittima difesa è sacrosanta. A suo parere bisognerebbe rivedere tutta la normativa; il che implicherebbe una radicale reimpostazione della legislazione penale e addirittura di alcuni principi costituzionali.

A questo punto mi permetto di sollevare qualche obiezione. Nessuno più di me è convinto che un codice penale fascista ancora vigente dopo settant’anni di Repubblica sedicente democratica è una vergogna. Quanto alla costituzione più bella del mondo, la butterei volentieri alle ortiche, perché è scritta in modo da legittimare qualsiasi scelta totalitaria di matrice socialista (qualsiasi: avete presente la Repubblica di Salò?). Non credo però che per riformare la normativa riguardante la legittima difesa sia necessaria una revisione di tutto l’apparato della giustizia penale, e addirittura dei principi costituzionali. Il Codice Rocco è già stato in molti punti riformato sulla base di principi diametralmente opposti a quelli dell’ideologia fascista. Si pensi al diritto di famiglia, radicalmente modificato a metà degli anni Settanta dello scorso secolo, introducendo il principio di quella che oggi si direbbe “parità di genere” (la Costituzione, che è scritta in ottimo italiano, vieta la discriminazione di “sesso”, e sarebbe giusto continuare a parlare così, perché ai miei tempi il “genere” era soltanto una categoria grammaticale). Vero che i quel caso la riforma era perfettamente in linea con il dettato costituzionale. Ma non vedo come potrebbe essere impugnata davanti alla Corte una legge sulla legittima difesa più liberale di quella attualmente vigente. In base a quale articolo?

A me sembra tutto più semplice. Parto da quel che succederebbe in una comunità anarchica. Non ci sarebbe lo Stato, quindi neppure Procuratori che rappresentano l’interesse pubblico. L’azione penale, davanti ad arbitri privati, potrebbe essere promossa soltanto dalla parte che si ritiene lesa. Se i familiari di un delinquente ucciso durante un atto di aggressione ritengono che l’aggredito abbia commesso un omicidio, lo denunceranno e l’arbitro, valutate le circostanze e la dinamica dei fatti, giudicherà. In un sistema statale si otterrebbe qualcosa di simile invertendo l’onere della prova. Basterebbe stabilire per legge che, in caso di aggressione, la legittima difesa si presume. Legittima difesa senza aggettivi: parlare di “eccesso di legittima difesa” è un controsenso. Se si eccede, non è più legittima difesa: potrà essere crimine colposo o preterintenzionale o volontario, a seconda dei casi. Ma dovrà essere l’aggressore – o i suoi familiari, se è morto – a dimostrare, prove alla mano, che le cose stanno così. E’ chiaro che se io, per allontanare dal mio campo un ragazzotto che è entrato a rubarmi le ciliegie, gli sparo una revolverata e lo uccido, sono imputabile di omicidio volontario. Se sparo a un ladro che sta fuggendo colpendolo alla schiena, e lo uccido pur avendo solo l’intenzione di colpirlo alla gamba per fermarlo, sono imputabile di omicidio preterintenzionale. Non sarà difficile per le vittime o i loro parenti dimostrarlo. In altri casi sarà difficilissimo, per non dire impossibile.
A me sembra tutto così logico. Ma la logica, quando ci sono di mezzo i legulei, sembra appartenere ad un altro pianeta.

Giovanni Tenorio

Libertino

2 pensieri riguardo “Legittima difesa

  • Alessandro Colla

    Se il “vecchietto” è di Saronno credo di averlo identificato e gli auguro di non essere bevitore del famoso amaretto: potrebbe avere l’effetto collaterale di aumentare la dose di sciocchezze propalate attraverso l’arma televisiva. Immagino sia lo stesso sostenitore della tesi che il governo Monti avrebbe rimesso i conti a posto. I conti di chi?

    • Sì, il vecchio infatuato è proprio quello di Saronno. Dev’essere un parente stretto del Commendatore che ho sbudellato.

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