Don Giovanni

Papa Francesco, come Federigo Borromeo.

Ho qualche motivo di risentimento verso il prof. Aldo Spranzi, docente di Economia dell’Arte presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Milano, perché tempo fa, in un suo scritto, arrivò ad affermare che il “Don Giovanni” mozartiano è un’Opera mancata. Non fu giammai proferita bestemmia peggiore. E’ l’Opera più grande che sia mai stata rappresentata sulle tavole del palcoscenico, come disse Paolo Lecaldano nella prefazione all’edizione critica dei tre libretti per Mozart di Da Ponte (un gioiellino della vecchia BUR, ora introvabile). Certo, la più grande: e come potrebbe non essere, visto che il protagonista sono io? Lasciamo perdere. A Spranzi sono disposto a perdonare ogni mancanza di riguardo verso di me e i miei genitori 1 e 2, perché a metà degli anni Novanta dello scorso secolo ha pubblicato quel poderoso saggio, “Anticritica dei Promessi Sposi” in cui, sfidando, oltre all’opinione vulgata, tutta la più illustre tradizione accademica, cerca di dimostrare – con argomentazioni piuttosto forti – come il capolavoro manzoniano sia un’opera nichilista e atea. Fra i capitoli più convincenti sono quelli relativi alla figura del cardinal Federigo Borromeo: non il personaggio storico, ma quello romanzesco, che il Manzoni inventò di sana pianta, pur fingendo di attingere scrupolosamente ai documenti d’epoca (e fece bene: Verdi diceva che inventare il vero è meglio che copiarlo).

Mi chiedo se Julian Carron, insigne biblista, attuale presidente della “Fraternità Comunione e Liberazione”, abbia mai letto il saggio di Spranzi. Credo di no, perché fu di fatto immediatamente rimosso dalla cultura italiana, ottenendo forse più riconoscimenti all’estero che in Italia: dove però non è dispiaciuto a una certa area minoritaria del cattolicesimo, da sempre ostile al “liberalismo” manzoniano (ed è significativo che Spranzi pubblichi articoli sulla rivista “Studi cattolici” delle edizioni Ares). Se l’avesse letto, non so se si sarebbe azzardato, in occasione della prossima visita del papa a Milano, a paragonare il vicario di Cristo regnante al cardinal Federigo delle pagine manzoniane. Infatti il Federigo del Manzoni (non quello della Storia), se leggiamo bene il testo, come Spranzi ci invita a fare, nasconde, sotto le vesti di una mentita santità, l’animo ignobile di un astuto politicante. Però, tutto sommato, il paragone per molti aspetti regge, sia pure nel senso opposto a quello che Carron intende.

Vediamo qualche esempio. Federigo fin da giovinetto vuol far la carriera del Santo, prendendo come modello il grande zio Carlo Borromeo, già canonizzato. Ma la sua è una santità del tutto esteriore, volta a conquistargli l’ammirazione delle gente. Bergoglio si fa chiamare Francesco, mettendosi in apparenza sulle orme del Poverello d’Assisi. Però non si spoglia degli averi, rimane seduto su un trono, è sovrano assoluto di uno Stato, ha al suo servizio un esercito mercenario, grazie alle nunziature apostoliche è in comunicazione con tutti i potentati del mondo, riceve proventi dai contribuenti italiani, anche se atei, grazie a un perverso sistema di tassazione. Ha in uggia il capitalismo finanziario, ma l’Istituto per le Opere Religiose è una delle banche più lerce del mondo. Alter Christus? Ne dubito.
Federigo “coi suoi collaboratori era severo, anzi brusco”, quando li scoprisse “rei d’avarizia o di negligenza”. Pare che anche Bergoglio sappia essere altrettanto brusco. Ricordate quando rifiutò di presenziare a un concerto in suo onore, dicendo che aveva cose più importanti da fare, e non era un principe del Rinascimento?
Federigo consumava pasti frugali. Però rimaneva un gran signore. Le sue rendite non erano intaccate dalle ostentate elemosine. Bergoglio vive a Santa Marta, disdegnando gli appartamenti regali. Anche i suoi pasti sono frugali. Però Santa Marta è un Hotel, non la Porziuncola, e i pasti, per quanto modesti, non li paga di sua tasca. Qualcuno dice (calunnie?) che in questo modo le spese per il suo mantenimento e la sua sicurezza risultano addirittura maggiorate. Bel poverello!
Federigo sa farsi benvolere . “Di facile abbordo con tutti, credeva di dovere specialmente a quelli che si chiamano di bassa condizione, un viso gioviale, una cortesia affettuosa” In questo Bergoglio è maestro, e forse riesce ancor meglio di Federigo, vista la sua bassa origine. Per adeguarsi agli umili usa un linguaggio umile, inventando nuove parole. I giornali ne parlano, si scrivono saggi. Quando a Napoli usa il termine “spuzzare” in riferimento alla camorra e alla corruzione, tutti vanno in brodo di giuggiole. Parla proprio come uno di noi! (Non credo conosca la pasquinata cinquecentesca.”Ai preti spuzza di chiavar in potta/ci dan dentro di dietro a tutta botta.” La conoscesse, avrebbe evitato quel termine).
Federigo è un campione della misericordia. Peccato che sia una misericordia pelosa. Accoglie a braccia aperte l’Innominato in crisi, ne accetta il pentimento, lo esorta a cambiar vita e a dedicarsi, da quel momento, a opere di carità. Benissimo: ma le vittime che ha sulla coscienza, le ruberie, gli stupri? Non è giusto che risarcisca chi è stato colpito della sua violenza? Non deve pagare lo scotto davanti alla giustizia degli uomini, prima che davanti a quella di Dio? Pare proprio di no. Non si sa mai, l’innominato, a una tal richiesta, potrebbe cambiar idea, e allora, per il cardinale, che grande occasione perduta di gloria mondana! Non deve, l’Innominato, smantellare la rete criminale di cui è a capo, denunciandone i complici? Pare proprio di no. Le vittime? Peggio per loro. Bergoglio, adeguandosi al politicamente corretto d’oggi, pare anche lui privilegiare i carnefici rispetto alle vittime. I giornaloni ne parlano, i Ravasi e i Galantini spargono incensi. Sarà per questo che il caso di Emanuela Orlandi è stato di fatto archiviato. Misericordia, misericordia! Ci ha costruito sopra un Giubileo. Pare che qualche buon cattolico in confessione pretenda di essere assolto a buon mercato anche per peccati da sempre ritenuti gravi perché “l’ha detto anche Francesco”. Ma “pentere e volere insiem non puossi/per la contradizion che no’l consente”. Cristo assolve il buon ladrone perché vede che è pentito, e sta già scontando la sua pena davanti alla giustizia umana. Non si può andare in Paradiso in carrozza, come i nobili parenti volevano far credere alla povera Gertrude, futura monaca di Monza.
Federigo fa una dura reprimenda a don Abbondio, per come s’è comportato con Renzo e Lucia, da vero criminale. Ci aspetteremmo ,alla fine, una punizione esemplare. Invece…arriva anche qui un misericordioso perdono. Bell’esempio per tutti gli altri preti! “Chi sono io per giudicare?”dice Bergoglio. E invece un papa, quando i suoi subordinati tralignano, deve proprio giudicare, e severamente. Che fine hanno fatto le roventi rampogne contro i preti pedofili? Si è insediata una commissione per studiare il problema e proporre eventuali rimedi, da cui però più d’uno, vista l’inconcludenza delle discussioni, ha preferito dimettersi. Non c’è qualcosa di marcio nel reclutamento dei futuri sacerdoti, nel percorso educativo dei seminari? L’inchiesta del “Boston Globe” che diede la stura allo scandalo della pedofilia clericale partì dal presupposto, rigorosamente documentato, che un 6% dei preti esercita la pratica immonda. Poveretti, sono malati. Invece di cacciarli, li spostano da una parrocchia all’altra. Chi li ha coperti è ancora al suo posto, o è stato addirittura promosso di grado. E le vittime? Peggio per loro. Molto più cristiano quel vecchio contadino che, nella novella di Pirandello, al figlio prete pedofilo strappa il colletto, e lo manda a zappare.

L’azione più atroce del Federigo manzoniano è la processione al tempo della peste. Il cardinale sa bene che un così grande assembramento di folla contribuirà a diffondere i contagio, come di fatto avverrà, però dà il suo beneplacito alla manifestazione, ancora una volta per motivi propagandistici. Ricordate quel passo terribile del romanzo (che ancora una volta falsa la realtà storica)? Il giorno successivo alla processione il contagio esplode (nella realtà, quaranta giorni dopo). Sono tutti morti che Federigo (quello della finzione narrativa) ha sulla coscienza. Pensate al bel gesto, squisitamente propagandistico, che Bergoglio (quello vero, purtroppo) compie quando è da poco insediato sul soglio di Pietro, andando sull’isola di Lampedusa a redarguire l’insensibilità dei ricchi che non aprono le braccia ai profughi. Accoglienza, accoglienza! A spese degli altri, però, non del Vaticano. Si dice che, dopo quell’evento, sulle coste dell’Africa si distribuissero volantini con l’immagine del papa e l’invito a imbarcarsi verso i lidi d’Europa. Bel servizio reso agli scafisti e a tutti quelli che speculano sulle disgrazie altrui. Da quel momento il flusso dei profughi aumentò, aumentarono gli incidenti in mare, aumentarono le vittime.Sono tutti morti che Bergoglio (quello vero, purtroppo) ha sulla coscienza.
Eh sì, monsignor Carron, il Suo paragone è proprio calzante. Però, fossi in Lei, non ci tornerei sopra.

Giovanni Tenorio

Libertino