Don Giovanni

Morale di Stato

Vi la ricordate la signora Carmela Rozza? Ne abbiamo parlato anche qui. E’ quel personaggio dal cognome tristo e malaugurante che, Assessore (Assessora? Boldrini, aiutami tu) alla Sicurezza presso il Comune Milano, mentre con lodevole senso della propria missione civica si prodigava, insieme a uno stuolo di volontari della sua risma, a ripulire un quartiere della città dai graffiti che lo deturpavano, si vide intralciare il lavoro da un’auto in divieto di sosta. Còlta da un sacro sdegno, come quando Cristo scacciò i mercanti dal Tempio a suon di nerbate, pensò bene di infliggere un’esemplare punizione al reprobo, imbrattandogli la fiancata del veicolo con una striscia di vernice. In un Paese civile un simile comportamento sarebbe stato deplorato da tutti, e l’Assessora costretta immediatamente alle dimissioni. Contro le violazioni di legge si ricorre alla legge, non alla vendetta. Se un’auto è in divieto, si chiamano i vigili e, se necessario, il carro-attrezzi per la rimozione forzata. Poi può darsi che non arrivi nessuno perché i vigili sono in tutt’altre faccende affaccendati e il carro-attrezzi non è disponibile. Ma questo è un altro discorso. A molti è capitato di telefonare ai carabinieri e sentirsi rispondere:” Son tutti fuori, sono il piantone!”. Peccato che, intanto, i ladri siano tutti dentro (dentro casa mia, intendo, non dentro al fresco). Come si è reagito, invece, alla bella impresa della Rozza? Qualcuno s’è, giustamente, indignato. I più, come sempre, sono rimasti indifferenti. Un buon numero s’è detto solidale con l’Assessora, lodandone il senso di giustizia e la consapevolezza della propria funzione pubblica.

Qualche giorno fa, sempre a Milano, s’è ripetuto qualcosa di simile, ma il protagonista non è un personaggio pubblico, bensì un comune mortale, che non essendo Figlio di Dio non può cacciare i mercanti dal Tempio a suon di nerbate. Un signore trova un’auto parcheggiata sulle strisce pedonali. Invece di rivolgersi ai tutori dell’ordine, che fa? Rimestando in un cestino dei rifiuti trova un sacchetto contenente escrementi di cane. Se ne serve per impiastricciare come si deve la portiera dell’auto dalla parte del guidatore. Così, quando quello arriverà, avrà la punizione che si merita. Per entrare nell’abitacolo dovrà sporcarsi le mani di merda. In linea con le tradizioni! Era Ugo Foscolo a chiamare, (ingenerosamente) Milano “la città della merda”.

Questa volta l’indignazione per il gesto incivile è stata unanime. Qualcuno ha scritto una lettera al “Corriere”, che ha avuto come risposta un’accorata deplorazione del degrado in cui la comunità cittadina sembra inesorabilmente scivolare. La legge del taglione, no! Bisogna restaurare il rispetto della legalità, aumentare i controlli, ripensare al Vigile di Quartiere, come propongono il Sindaco Sala e… l’Assessore Rozza (!). Ma guarda un po’ da che pulpito viene la predica! Il rispetto della legalità, il ricorso ai funzionari responsabili della pubblica sicurezza proclamati da chi, qualche mese fa, ha mostrato di non tenere questi principi in nessun conto! Eppure il buon esempio dovrebbe venire dall’alto. E’ molto diverso imbrattare un’auto di merda dall’imbrattarla di vernice? Caso mai, è meno grave. Sarà spiacevole lordarsi le mani di quella bruttura, ma basta un po’ d’acqua per rimediare. Invece chi si trova una striscia di vernice sulla fiancata deve portare la sua auto dal carrozziere, e sono soldini che se ne vanno.

Sembra di vivere in un mondo alla rovescia, ma a ben pensarci tutti i conti tornano, è normale che sia così. L’idea che chi veste una divisa o esercita una funzione pubblica possa comportarsi secondo una morale tutta sua, in vista del bene comune, è molto diffusa. Anzi, a ben pensarci, è alla radice del concetto stesso di Cosa Pubblica. A un livello molto più alto, ben al di sopra della vernice e della merda, lo diceva anche Niccolò Machiavelli: per il bene dello Stato il fine giustifica i mezzi (non l’ha mai detto in questi termini, ma la sostanza è questa). Se un sostituto procuratore semianalfabeta per far cantare i presunti colpevoli di corruzione fa tintinnare davanti al loro naso le manette e minaccia di sbatterli dentro, diventa un eroe. Se un poliziotto per estorcere una confessione usa le mani o un beverone d’acqua e sale, lo fa per proteggere la società degli onesti dalle mire dei manigoldi. Se un vigile fuori di testa minaccia a mano armata un automobilista che si oppone a una contravvenzione, e si giustifica davanti ai suoi superiori dicendo che, dopo tutto, la pistola era scarica, la faccenda finisce nel nulla, il pazzoide rimane al suo posto e magari i cittadini del borgo plaudono a chi ha dato una bella lezione a un utente indisciplinato e saccente. Sulla scena internazionale, quando Trump dice che la tortura è utile per combattere il terrorismo, non provoca grandi reazioni. Molti, sotto sotto, gli danno ragione. L’America è faro di civiltà, dovremmo seguirne il buon esempio. Dopo tutto, per far finire più presto la guerra, non si è bombardata Dresda, uccidendo migliaia di di innocenti, e non si è sganciata l’atomica su Hiroshima e Nagasaki, causando un’immane strage? Chi è dalla parte del giusto può usare tutti i mezzi che vuole. Se Hitler, invece di gassare gli ebrei, avesse gassato gli islamici presunti terroristi, avrebbe fatto bene.

Lo Stato, per il Bene Comune, può e deve fare tutto. Se io, privato cittadino, catturo un poveretto e lo costringo a lavorare alle mie dipendenze per un tozzo di pane, impedendogli ogni libertà di movimento, vengo condannato come schiavista. Se lo Stato costringe i suoi sudditi al servizio militare non è uno schiavista, agisce sul piano di una morale più alta, per la difesa della Patria e l’educazione del cittadino. Se un conservatore galantuomo come Manlio Lupinacci deplorava la coscrizione, lodando il governo del Regno Unito per averla abrogata, se ben ricordo, nel 1960, uno storico di vaglia come Giovanni Spadolini (buon giornalista e mediocre politico) in un suoi scritto non esitava a giudicare positivamente il fatto che lo Stato post-unitario l’avesse introdotta in Italia, per corroborare i sentimenti patriottici di un popolo reso imbelle da secoli di asservimento. Oggi che in Italia, anche per merito di Antonio Martino, la coscrizione è sparita, qualche bello spirito la ripropone, come scuola per i giovani, come antidoto all’ozio. Qualcuno vorrebbe un servizio civile obbligatorio. Molti plaudono all’idea, specialmente in questi tempi in cui i servizi pubblici d’emergenza, a livello organizzativo (sull’abnegazione dei singoli, nulla da dire, c’è solo da ringraziare) si sono rivelati del tutto inadeguati. Eppure la reazione dovrebbe essere un’altra: facciamo un po’ d’ordine, rimettiamo in sesto una Protezione Civile divenuta inefficiente per aver voluto affiancare a un tecnico un politico. Bertolaso era criticabile per molti aspetti, primo fra tutti il suo anomalo rapporto con la presidenza del consiglio brerlusconiana, ma nelle emergenze ha dato buona prova di sé. In un’epoca tecnologica come la nostra abbiamo bisogno di operatori tecnologicamente ferrati. Come un esercito di coscritti è un cattivo esercito di marmittoni, così un servizio di protezione civile imposto ai giovani cittadini alla stregua d’un servizio di leva non può che essere disastroso. Con il servizio militare obbligatorio non si imparava a sparare, ma solo a pulire i cessi. Con il servizio civile obbligatorio forse non si imparerebbe neppure quello.

Chi ama il modello di Sparta, se lo tenga. Magari lo adotti nel proprio mini-Stato, se la secessione avrà successo. Quanto a me… alla larga!

Giovanni Tenorio

Libertino