Don Giovanni

Indovina indovinello: i temini del Signor X.

Indovina indovinello. Chi è quell’illustre cattedratico, chiamiamolo “Signor x”, che, ormai da decenni, ci delizia con i suoi temini settimanali, un tempo sul più importante giornale italico, ora sul quotidiano che fu di Indro Montanelli? Non sono io ad averli battezzati “temini”. Fu un insigne linguista ed esperto di didattica della lingua italiana, Raffaele Simone. Li additò agli insegnanti come esempio di quel che non si deve accettare in un buon lavoro scolastico di tipo argomentativo. Purtroppo il suo suggerimento cadde nel vuoto. Conosco insegnanti di Liceo (non della Scuola Elementare, o Media, proprio di Liceo) che proponevano, e probabilmente continuano a proporre, gli scritti del “Signor x” come modelli di bello scrivere. Chi si contenta gode. In ogni modo, è davvero paradossale che ora i suddetti temini trovino spazio in calce alla prima pagina di quel foglio il cui il direttore in persona, proprio lui, Montanelli, bollò una volta il loro autore (in riferimento a non ricordo quale scritto) con un marchio poco lusinghiero, chiedendosi come fosse mai possibile che certi personaggi sedessero su una cattedra universitaria. Ve ne racconto un’altra (autentica, lo giuro sul mio onore). Una gentile studentessa, a un esame universitario della Facoltà di Lettere, non saprei più dirvi di quale Università, credette di farsi bella agli occhi del professore che la interrogava citando il “Signor x”. Fu immediatamente fermata. “Signorina, quelle del “Signor x” sono solo ovvietà, qualsiasi persona che non sia del tutto analfabeta potrebbe dire le stesse cose; lasci perdere e prosegua, la prego…”

Indovina indovinello. Capito chi è? Era rettore dell’Università di Trento, negli anni roventi della contestazione sessantottina. Si era fatto le ossa alla Cattolica di Milano, dove aveva studiato con padre Agostino Gemelli, dopo essere stato allievo dello psicanalista Franco Fornari all’ Università degli Studi del capoluogo lombardo. Divenne famoso per un saggio di grande successo, cui ne seguirono altri, dove si sosteneva la tesi di un’affinità fra l’ innamoramento e il sorgere dei movimenti rivoluzionari da un lato, l’amore e l’involuzione istituzionale di tali movimenti dall’altro. Idea abbastanza accattivante. Peccato che il “Signor x” ci sia vissuto di rendita. Un temino alla settimana (sarebbe interessante sapere quanto compensato), e via! Non ci siete ancora? Non costringetemi a fare come quel tale che chiedeva: “Dimm cossé gh’hoo chì in la cesta che ten doo ona sgrazza” , dimmi che cosa ho qui nella cesta che te ne do un grappolo.

Veniamo al punto. Il “Signor x”, una settimana fa o poco più, in uno dei suoi temini ha addirittura fatto riferimento alla Storia Romana. In linea con il suo stile e la sua ispirazione, ha maneggiato un argomento del genere, da far tremare le vene e i polsi, sentendosi forse come un Teodoro Mommsen redivivo. Peccato che le sue argomentazioni non siano neppur degne di uno studentello ginnasiale che s’è preparato all’interrogazione di fine anno studiando su un bigino; ma un bigino di infima qualità, non su un vecchio, glorioso Bignami. Arriva a paragonare Donald Trump ai fratelli Gracchi! Sì, il supermiliardario americano, sessista razzista e ballista, ai due sfortunati tribuni della plebe, discepoli dello stoico Blossio di Cuma, che si batterono, pagando con la vita, per ridare dignità ai piccoli coltivatori romani, schiacciati da un’aristocrazia senatoria che, violando la legge, si era accaparrata ampie porzioni di terreno pubblico coltivabile, ben oltre i limiti consentiti, impiegandovi manodopera servile a basso costo. Motivo umanitario, ma anche e soprattutto tentativo di conservare quel ceto di piccoli proprietari terrieri che formavano il nerbo dell’esercito, in modo da allontanare il pericolo di milizie mercenarie, fedeli più ai loro generali che alle istituzioni della Res publica. Allo stesso modo, secondo il “Signor x”, Trump si erigerebbe a paladino dei ceti medi impoveriti dalla globalizzazione, restituendo loro un reddito e una dignità che hanno perduto per effetto di un liberismo selvaggio tutto a vantaggio delle multinazionali. Ci vuole davvero una bella fantasia! Nessuno vuol difendere per partito preso le multinazionali, ma vorrei capire che cos’hanno rubato ai ceti medi del mondo cosiddetto “civilizzato”. Nessuno vuol coprire le malefatte che talvolta hanno compiuto, ma rimane vero che, in linea di massima, neppure hanno impoverito i Paesi dove hanno insediato le loro attività. Al contrario, hanno portato lavoro laddove prima c’era miseria. Ai paesi poveri la globalizzazione ha fatto bene, tant’è vero che negli ultimi tempi il tasso di povertà nel mondo è drasticamente calato. Ci sono ancora tanti poveri, è vero, ma la soluzione del problema non si avrà certo tornando indietro. Quanto alle difficoltà attuali dei ceti medi nei Paesi più sviluppati, sarebbe disonesto negarla, ma pretendere di curarla con dosi massicce di protezionismo è demenziale. Fa specie che, col trionfo di Trump, in Italia sia tornato alla ribalta un personaggio come Tremonti, da sempre colbertista incallito e ammiratore di Rathenau. Bei modelli davvero! Dazi e dogane, per difendere le industrie nazionali, così come sono, e l’occupazione, così com’è. L’innovazione, ch’è la molla dello sviluppo, può andare a farsi friggere. Viva le acciaierie e abbasso l’elettronica. Indietro come i gamberi. Prima le guerre commerciali, e poi le guerre vere. “Dove passano le merci non passano i cannoni”, diceva Bastiat, liberista selvaggio dell’Ottocento. Aggiungerei: e anche dove passano gli esseri umani. Altro che muri per ricacciare indietro gli stranieri. Se c’è un difetto nella cosiddetta globalizzazione, non è, come si dice, la mancanza di controllo da parte di autorità pubbliche, ma, al contrario, un eccesso di controllo e di regolamentazione. I trattati commerciali panamericani, transatlantici e transpacifici sostenuti da Obama e, in genere, da tutto lo schieramento “progressista” (a eccezione della sinistra estrema) sono criticabili perché poco anarchici. Da un lato vogliono abolire le barriere doganali, ma dall’altro vogliono estendere le norme della proprietà intellettuale, grazie alle quali i grandi colossi industriali -sì, le multinazionali, da quelle del farmaco a quelle dell’elettronica, a quelle della moda, e via di seguito- potranno godere di rendite gigantesche: si abbattono barriere per costruire altre barriere, di gran lunga più lucrose. Mi risulta che solo i left libertarian siano sensibili a questi argomenti. Gli altri nicchiano. D’altra parte, meglio nicchiare che straparlare, come il “Signor x”.
Il quale, sempre nel medesimo temino, continua a elargire esempi di Storia Romana dicendo che, in epoca imperiale la schiavitù andò aumentando (sciocchezza enorme: gli schiavi, una volta cessate le guerre di conquista, diventavano più rari e più costosi), i ceti popolari diventarono sempre più poveri e alla fine l’Impero Romano sfociò nel Cristianesimo. Capito come nacque il Cristianesimo? Dalla povertà in cui era ridotto il popolo nell’Impero Romano. Peccato che Edward Gibbon, il grande storico che scrisse verso la fine del Settecento “History of the decline and fall of the Roman Empire” dica esattamente il contrario: che fu il Cristianesimo a distruggere l’Impero. Tesi discutibilissima, ma sorretta da argomentazioni forti, non certo raccattate dai bigini scolastici. Tra parentesi: il signor x passa sotto silenzio il periodo del “Principato adottivo”, da Traiano ad Antonino Pio (con Marco Aurelio cominciano ad avvertirsi i primi segni di crisi), che, a detta di tutti gli storici, fu uno dei più felici del mondo antico.
In un temino successivo il “Signor x” riprende – in polemica con un editoriale di Panebianco sul “Correre della sera” – il discorso su Trump, elogiandone le direttive di politica estera a favore di un accordo con la Russia di Putin e con i Paesi arabi moderati, come strategia per sconfiggere l’estremismo islamico promotore del terrorismo. Se ne avrò voglia, ci tornerò sopra un’altra volta. Anticipo che vedo Putin come il fumo negli occhi.

Concludo. Un vecchio professore di Liceo, umanista di gran vaglia, era solito assegnare, nei compiti in classe di versione dal Greco e dal Latino, una serie di voti che partivano dall’ 1, per i più somari, e raramente arrivavano all’8, per i più bravi. Consegnava i lavori corretti partendo dalla votazione più bassa. Quando, nella distribuzione, si arrivava al 6, si sentiva un gran sospirone di sollievo da parte degli alunni che ancora non avevano ricevuto il loro compito. Uno dei voti più frequenti era: “dal 3 1/2 al 4–“. Ecco, è il voto che io assegnerei al temino del “Signor x” di cui vi ho parlato.

A proposito, avete capito chi è il “Signor x”?
Indovina indovinello.

Giovanni Tenorio

Libertino

Un pensiero su “Indovina indovinello: i temini del Signor X.

  • Alessandro Colla

    Mi vengono in mente dei… Grandi Alberi che si autoreferenziano (orrendo neologismo ma non è il referto dell’autovettura di Renzi) come sociologi. Se non ricordo male, negli scorsi anni ottanta trovava credito anche negli ambienti teologici. Anche in quelli di tendenza tra di loro opposta. Per intenderci: Pietro Scoppola, Hans Kung, Gianni Baget Bozzo. Ma forse Scoppola non andrebbe annoverato come teologo.

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