Don Giovanni

La verità sta in cielo

Sembra un’epoca remota, avvolta in un’aura di leggenda. Eppure sono trascorsi solo pochi decenni, poco più di cinquant’anni. Mezzo secolo, un pulviscolo  evanescente di stagioni nel volgere impetuoso dei millenni che segnano le vicende dell’Umanità. Non bisogna avere l’età di Matusalemme per ricordarli. Si era alla metà del secolo Ventesimo, uno dei più orridi della Storia. La Seconda Guerra Mondiale è da poco finita, il mondo è spaccato in due: di là i “cattivi” del mondo comunista, guidato dall’Unione Sovietica (mentre si profila all’orizzonte il fantasma di una Cina destinata a contare sempre di più nel concerto delle grandi potenze), di qua i “buoni”, proni ai voleri dei “liberatori” americani. In mezzo, un pugno di Paesi non allineati, che contano poco o nulla.

In questo clima, il Bel Paese ch’Appennin parte e il mar circonda e l’Alpe si sta avviando a uscire, fra mille difficoltà e non pochi squilibri – destinati a permanere come suo irredimibile retaggio – da secoli di povertà. Ancora meno di un lustro, ed entrerà nel pieno di quello che sarà salutato come “boom economico”, adottando un’espressione barbara che, nel mentre si sta pensando seriamente a ridimensionare nelle scuole la cultura classica, per sostituirla con il Nulla, sembra voler significare una netta rottura col passato al dischiudersi di un’epoca nuova. Ma intanto le tracce del vecchio rimangono abbarbicate al costume dominante, pur fra tanta ansia di scuotersi di dosso il peso d’un opprimente passato. Può ancora capitare che un prete di paese minacci di non accogliere più in chiesa una ragazzina perché, nel bel mezzo della calura estiva, la vede girare per i vicoli in calzoncini corti. “‘L’uomo non si vestirà da donna e la donna non si vestirà da uomo”, dicono le Sacre Scritture. Ma c’è anche di peggio. In una scuola elementare pubblica, una vecchia maestra, nostalgica dell’uomo forte che ha fatto una brutta fine – a perpetua infamia di chi stava “dalla parte giusta”- appeso come un bue squartato a Piazzale Loreto, può permettersi, senza provocare scalpore tra i colleghi né rimostranze da parte del direttore, di esprimere tutto il suo disappunto perché un premio scolastico – offerto da una ditta privata a chi ha riportato i voti miglior alla fine dell’anno scolastico – è andato a un'”ebreaccia”. Nella medesima scuola – ma evidentemente anche nelle altre, in tutto il territorio della benemerita repubblica laica e democratica, la cui splendida costituzione ha recepito il Concordato mussoliniano – un giorno viene distribuito, per evidenti motivi propagandistici, qualche esemplare della “buona stampa” cattolica per ragazzi. C’è anche un giornaletto illustrato a fumetti. Si intitola “Corrierino”. Fin troppo evidente il proposito di far concorrenza, fin dalla testata, al più famoso “Corriere dei piccoli” dei laici liberali massoni che diffondono nequizie anche dalle pagine del “Corriere della sera” e della “Domenica del Corriere”. E fin qui, passi, ognuno ha il diritto di vendere la sua merce magnificandola come meglio crede. Il guaio è che, in caratteri piccolini, sul verso della copertina, è scritto: “Comperate il Corrierino, non il Corriere dei piccoli”. Un vero reato, “dolus malus” direbbero i legulei. In un sistema libertario non sarebbe tale, ma quello non era un sistema libertario. Fosse stato il “Corriere dei piccoli” a invitare i suoi lettori a disdegnare il Corrierino”, il suo direttore, il mite, patriottico e cattolico Giovanni Mosca, sarebbe finito dritto davanti al giudice, insieme con i responsabili della proprietà.
Erano gli anni in cui alle porte delle chiese erano affissi manifesti in cui si indicavano ai fedeli la “buona stampa”, da leggere e meditare, e la “cattiva stampa”, piena di tentazioni sataniche, da cui tenersi lontani come dalla peste. Sulla “buona stampa” poi venivano segnalati i film che un buon cattolico poteva o magari doveva vedere (“Marcellino pane e vino” e altra paccottiglia del genere)  e i filmacci turpi da cui tenersi lontani. Quando uscì La dolce vita di Fellini quel terribile bigottone di Oscar Luigi Scalfaro, destinato a diventare uno dei più infausti presidenti della repubblica, nascondendosi sotto uno pseudonimo, arrivò a ribattezzare il film come Sconcia vita. Oggi nei cineforum cattolici – ed è un titolo di merito, lo dico senza ironia – non si hanno remore a riproporre un capolavoro come Rocco e i suoi fratelli di Luchino Visconti, in versione restaurata, sotto la guida di animatori spesso ben preparati, in qualche caso anche specialisti di alto livello. Eppure, al tempo in cui uscì, quel film fu esecrato in tutti i modi, subendo anche assurdi tagli, imposti da una censura retriva, impregnata di sessuofobia clericale. Benissimo, vuol dire che le cose sono cambiate, e in meglio.
Cambiate, ma un nocciolo duro rimane. Certo, oggi sui giornali un tempo definiti liberali e massonici scrivono fior di teologi e si leggono sviolinate all’indirizzo del papa. Nelle sale cinematografiche gestite da associazioni cattoliche si proietta un film come Il caso Spotlight, che mette a nudo lo scandalo dei preti pedofili, rivelato da un’inchiesta del quotidiano Boston globe; e non si può che accoglier con piacere il fatto che qualche prelato abbia salutato la pellicola – esortando a divulgarla – come una giusta denuncia, da far conoscere a tutti, perché la Chiesa finalmente faccia atto di contrizione e prenda le adeguate misure per evitare che lo sconcio continui. Però, però…
Però capita che uno voglia andare a vedersi un film in cui si ricostruisce una torbida vicenda, ancora avvolta nel mistero, in cui Santa Romana Chiesa è immersa fino al collo, quella che ha come protagonista una ragazzina, Emanuela Orlandi, rapita e fatta scomparire da personaggi in qualche modo legati alle alte gerarchie vaticane. Il regista è Roberto Faenza, che non piace troppo alla critica più altezzosa: per alcuni suoi film del passato qualcuno lo battezzò lo Zeffirelli della sinistra, o qualcosa di simile. La cosa qui non ci interessa. Interessa invece che una rivista cattolica molto diffusa, orientata in senso “progressista”, la Famiglia cristiana, attacchi il film come opera di parte, ostentatamente anticlericale, sbilanciata su ricostruzioni tutt’altro che sicure, a discapito di altre piste meno infamanti per la gerarchia della Chiesa. C’è di più: nelle grandi città, come Milano, il film si proietta in più d’una sala cinematografica negli orari più disparati, con molte repliche giornaliere, ma nei centri più piccoli o si proietta in sale frequentate da pochi cinefili o a orari impossibili, ad esempio alle 22,30. Qualcuno dirà: capita anche per altri film. Se i distributori e i gestori delle sale non li ritengono particolarmente allettanti per il grosso pubblico, li relegano ai margini della programmazione, confinandoli talora in orari disagevoli. Ma siamo sicuri che un film come questo interessi poco al pubblico che abitualmente frequenta le sale? La vicenda di Emanuela Orlandi ha destato grande scalpore, se n’è parlato sui giornali, è stata oggetto di inchieste e dibattiti sui canali televisivi. I conti non tornano… C’è chi si è chiesto: “Arriverà mai questo film nelle sale romane?” Può darsi sia un cattivo pensiero, può darsi che il film nelle sale romane ci sia arrivato e abbia intenzione di rimanerci, può anche darsi che qualche buon prelato (la Chiesa è marcia, ma non tutta), arrivi, come per Il caso Spotlight, a consigliarne la visione. Però, però…
Però cognosco stilum Romanae Ecclesiae. Riferisco la testimonianza di un buon cattolico, un ragazzo che, dopo gli studi classici, si sta avviando alla vita ecclesiastica, pronunciando i voti. Da costui ho saputo, qualche tempo fa, che è bastata una telefonata della curia vescovile alle autorità comunali di un capoluogo lombardo perché venisse tagliato, in quattro e quattr’otto, un albero secolare che faceva bella mostra di sé in una piazza cittadina, ma aveva il difetto di gettare la sua ombra sull’abside della cattedrale, impedendo alla luce del sole, che il buon Dio ci ha donato, di penetrare attraverso i finestroni. Provate a tagliare un vostro albero, da voi piantato vent’anni fa nel vostro giardino, e diventato nel frattempo robusto e fronzuto. State pur sicuri che arriva in breve la Forestale (una delle istituzioni più lerce della lercia repubblica fondata sul lavoro) a rompervi i coglioni. In somma, ai preti basta una telefonata. Anche per intralciare la diffusione di un film. A pensar male si fa peccato, ma talvolta ci si azzecca. Non lo dico io, l’ha detto un altro fervente cattolico, Giulio Andreotti, pace all’anima sua, l’amico di mafiosi, camorristi, palazzinari; di Sindona, da lui salutato a suo tempo come benefattore dell’umanità; e di quel monsignor Marcinkus che nel film di Faenza è tra gli uomini più neri, e non soltanto per l’abito da prete che porta.
Il film si intitola La verità sta in cielo, ripetendo la frase che l’attuale papa avrebbe sussurrato al fratello della povera Emanuela. Se è in cielo, la faccia scendere sulla terra. “Per questo sono venuto nel mondo, per rendere testimonianza alla verità” dice Colui del quale il papa dice di essere vicario. Il fatto è che la verità sul caso Orlandi è già nel mondo, in un documento secretato che le autorità vaticane avevano promesso di consegnare alla competente autorità giudiziaria italica, ma è rimasto ben racchiuso dentro le mura dell’ultima monarchia assoluta rimasta viva e vegeta nel cosiddetto mondo libero.
“Che cos’è la verità?” chiese Pilato a Cristo dopo aver ascoltato la sua dichiarazione. Neanche si degnò di ascoltare la risposta. Santa Romana Chiesa assomiglia più a Pilato che al suo Fondatore.

Giovanni Tenorio

Libertino

Un pensiero su “La verità sta in cielo

  • Alessandro Colla

    Giovanni Mosca, mite, patriottico, cattolico e se non ricordo male anche monarchico come il suo omonimo Guareschi. Inspiegabilmenbte innamorato di James Earl Carter, detto Jimmy, uno dei più inutili presidenti degli Stati Uniti, forse peggiore anche di Clinton e Obama. Chissà come avrebbero commentato i due Giovanni il film di Faenza.

I commenti sono chiusi.