Don Giovanni

Capre, oche e asini

Corre ancora sulla bocca di persone tutt’altro che sprovvedute la leggenda secondo cui i terremoti sarebbero preannunciati, se non proprio provocati, da condizioni atmosferiche anomale, caratterizzate da temperature eccessive fuori stagione. Leggenda? Certo, dicono i sismologi scuotendo la testa. Però recentemente alcuni studiosi cinesi hanno parlato di “nubi sismiche”, che si formerebbero nell’atmosfera in prossimità di eventi tellurici, e deriverebbero dalla condensazione di gas dispersi nell’atmosfera per effetto del vulcanesimo. Se la teoria fosse confermata, la leggenda non sarebbe più tanto leggenda: perderebbe soltanto il suo alone “magico”. Nel Medio Evo si diceva che le muffe formàntisi sul portale di non so più quale chiesa romana guarissero le ferite. Se n’è riso per secoli. Poi è arrivato Fleming, con la sua penicillina, e il miracolo s’è chiarito, rientrando nell’alveo delle spiegazioni razionali.

Comunque stiano le cose, e tornando per un momento alla leggenda dei terremoti, una cosa è certa: non sarà stata l’afa anomala di questa coda estiva a provocare il sisma che ha funestato l’Italia Centrale, ma sicuramente ha terremotato le menti già per loro conto dìrute di chi governa lo sciagurato Paese ch’ Appennin parte e il mar circonda e l’Alpe. Cominciamo dall’economia. Il Renzino continua a dire che le cose vanno bene, anche se ammette – bontà sua – che la ripresa è un po’ lenta. Si potranno addirittura abbassare le tasse. Sta dando i numeri! Si potrebbe fare, a patto di tagliare drasticamente anche le spese. Che invece hanno tutta l’apparenza di voler crescere. Lui continua a sperare di poter allargare i cordoni della borsa con il consenso delle competenti autorità europee. Non glielo concederanno, ma se anche fosse? L’aumento del deficit determinerebbe l’aumento del debito: il problema sarebbe spostato di qualche mese, non risolto, anzi aggravato. Lui continua a sperare nelle ricette keynesiane, che finora hanno fatto fiasco: il deficit genererebbe domanda aggregata grazie alla spesa corrente e agli investimenti pubblici; a questo punto, nel rapporto PIL/DEBITO cresce il numeratore, consentendo ai conti pubblici di rimanere entro i parametri prescritti dalle convenzioni europee. Il terremoto -non si può dire, ma pensarlo sì- sta dando una mano. Una bella spinta all’edilizia, che in un Paese di palazzinari ammanicati alle mafie ha sempre rappresentato il cuore di ogni ripresa economica. Auguri, Renzino.
Pare che l’afa di fine estate abbia anche annebbiato il cervello dei responsabili dell’ISTAT. Un giorno ne dicono una e il giorno dopo ne dicono un’altra. Facendo gongolare tutto il pollaio renziano, prima hanno proclamato che nel secondo trimestre dell’anno i servizi hanno goduto d’un aumento di fatturato pari all’1%: bel colpo, che compensa la sostanziale stagnazione del comparto industriale. Poi però hanno fatto marcia indietro: sì, è vero, c’è stato un aumento significativo, ma il calcolo non ha tenuto conto del settore bancario e assicurativo, dove si è avuto un calo. Quindi nessuna compensazione: il cielo era grigio e grigio rimane. Il Renzino, che si era pisciato addosso per il piacere, adesso si caca nelle brache per lo sconforto. Ma non lo dà a divedere. Anche perché sempre l’ISTAT gli appresta un’ultima ancora di salvezza: la crescita del primo semestre è stata un po’ sottovalutata, dobbiamo portarla allo 0,8%. Sta a vedere che, grazie alla buona stagione turistica (benedetti gli attentati in Francia, che hanno fatto riversare molti cittadini della Republique in terra italica, soprattutto nel Sud: anche la questione meridionale è in via di superamento) arriviamo alla fine dell’anno con una crescita da nababbi.
Io continuo a chiedermi a che cosa serva l’ISTAT. Vi ricordate quel che accadde con l’introduzione dell’EURO, quindici anni or sono? Nel giro di un anno i prezzi ebbero un’impennata, quelli di alcuni prodotti arrivarono addirittura a raddoppiare, complice un rapporto di cambio del tutto sbilanciato. I redditi fissi rimasero nominalmente fermi, di fatto svalutandosi per l’aumento del costo della vita. Chi lavorava in regime di piena concorrenza, specialmente per l’esportazione, non aveva molti margini di manovra sui prezzi, quindi i suoi profitti rimanevano modesti o addirittura risicati. In compenso le posizioni di rendita beneficiavano di una massa monetaria che, rimasta inerte in attesa degli eventi, si riversava nel circuito delle transazioni economiche dopo l’introduzione della nuova moneta, finanziando l’aumento dei prezzi per chi poteva permetterselo. Tutto questo all’ISTAT sfuggiva. Dalle sue analisi risultava un’inflazione modesta, tollerabile, per nulla anomala. A chi si ostinava a dire che le cose non stavano così, i cervelloni dell’istituto, che sfoggiano lauree in economia e fior di dottorati all’estero, nonché prestigiose carriere nelle illustri quanto inutili organizzazioni economiche e finanziarie internazionali, rispondevano che un conto è l’inflazione “percepita”, un conto quella reale. In somma: ci sembrava che il costo della vita fosse aumentato in maniera squilibrata, ma era soltanto un brutto sogno. Come dire: quando la massaia va a far la spesa e vede che , mentre le lire le bastavano, gli euro non le bastano più, soffre di allucinazioni. Se frugasse ben bene nel suo borsellino, vedrebbe che i soldini ci sono, come prima e più di prima. Capita come per la temperatura atmosferica: quando c’è afa si percepisce una gradazione superiore a quella segnata dal termometro.. Chiaro, no, zucconi? Questa è scienza, non si discute!
Il cervello più terremotato è però quello della ministra della salute Beatrice Lorenzin. Esponente di un partito, quello di Angelino Alfano, ormai avviato all’estinzione, ha pensato bene di occupare il proscenio dell’ignobile farsa italica sventolando  bandiera del problema demografico. Questa è un’altra barzelletta italica. Chi non è proprio un giovincello ricorderà che negli anni Sessanta del secolo scorso ci si preoccupava perché gli italiani facevano troppi figli. Si dava, come sempre, la colpa ai terroni, che sono ignoranti e così arretrati da non conoscere i preservativi; si recriminava-con qualche ragione-contro Santa Romana Chiesa, che condannava la farmacologia anticoncezionale in nome del “crescite et multiplicamini” (dimenticando che Dio lo disse ad Adamo ed Eva, che erano soltanto due, un maschietto e una femminuccia) e ammetteva solo l’applicazione del metodo Ogino-Knaus: quello che ha regalato alle famiglie osservanti otto o nove figli, e a qualche coppia tanto bigotta quanto maldestra una nuova prole in prossimità della stagione climaterica… Poi, quasi all’improvviso , il vento è cambiato: si fanno troppo pochi figli! Per fortuna arrivano gli emigranti, altrimenti sarebbe un guaio. Il Bel Paese sta diventando vecchio, e i vecchi sono pigri , rimbambiti, economicamente improduttivi e parassiti. Per continuare a pagargli le pensioni ci vogliono tanti bei giovanotti che lavorano e pagano i contributi per finanziare le rendite dei loro  padri. In somma: una volta bisognava prolificare perché lo Stato abbisognava di carne da cannone, adesso perché abbisogna di lavoro da pensione. Qualcuno obiettava ancora che però, a livello mondiale, la crescita demografica rimaneva preoccupante. Se ne faceva portavoce un Giovanni Sartori ormai vecchio, brontolone e ripetitivo dalle colonne del “Corriere della sera”. Invocava “Santa finìmola”, riecheggiando una battutaccia toscana che prende di mira chi sforna figli a iosa. Troppi o troppo pochi? I demografi dicevano, e dicono, che bisogna distinguere. Chi figlia troppo deve moderarsi, chi figlia poco deve darci dentro. Noi – dice la Lorenzin – dobbiamo darci dentro. Non le passa neppure per l’anticamera del cervello che forse si figlia poco perché le aspettative per il prossimo futuro sono tutt’altro che rosee. E’ sempre stato così: nei momenti di vacche grasse la popolazione cresce, in quelle di vacche magre diminuisce. E’ un segno di saggezza. Non saranno certo slogan pubblicitari buffoneschi, accompagnati da immagini ancor più ridicole a invogliare giovani e meno giovani ad arricchirsi di nuova prole. L’idea è così bislacca che anche il Renzino ha sentito il bisogno di prenderne le distanze. Qualcuno dice: non si figlia perché mancano provvidenze pubbliche  a sostegno della famiglia, agevolazioni per le mamme, interventi a favore di chi ha più figli, asili nido, ecc. ecc. ecc. Tutte cose che negli anni Sessanta non c’erano, eppure si figliava come conigli. Certo, era un’altra Italia, ancora per molti aspetti contadina, dove spesso erano i nonni a fornire quei servizi che oggi sempre più spesso devono essere affidati a soggetti esterni, pubblici o privati. Ma se vogliamo più provvidenze, dobbiamo aumentare la nostra ricchezza, e non di poco. E la ricchezza cresce, per tutti, con un capitalismo sano. Non certo quello -tanto per fare un esempio, ma se ne potrebbero fare mille altri- delle pale eoliche. Francesco della Pampa ha detto che chi fa male alla Terra deve confessarsi, perché è un gran peccatore. I primi a doversi confessare sono quelli che hanno insozzato, e continuano a insozzare, le terre della Puglia e della Basilicata costellandole di stupidi, donchisciotteschi mulini a vento… Ma a protestare, con sacrosante ragioni, sembra sia rimasto solo Vittorio Sgarbi.
Tornando al problema demografico: sono sempre stati i regimi autoritari, da quello di Augusto a quello di Mussolini, per non parlare della Cina comunista e post-comunista, a voler ficcare il naso nelle camere da letto. In queste faccende, diceva il compianto Sergio Ricossa, sarebbe bene lasciar fare alle donne, che sono più intelligenti. Verissimo: pensate alla Lisistrata di Aristofane, che per costringere i maschietti ateniesi a far la pace con Sparta non si peritava di esortare le sue compagne ad “astenersi dall’uccello”. Sì, le donne sono più intelligenti, non sarò io a negarlo, che le ho sempre amate. Farei un’eccezione per quelle che si aggrappano alle quote rosa, e per tutto il pollaio che starnazza intorno al governo Renzi: Maria Elena Boschi e Beatrice Lorenzin in testa.

Giovanni Tenorio

Libertino

2 pensieri riguardo “Capre, oche e asini

  • Alessandro Colla

    Che parabola triste quella di Beatrice Lorenzin. Quando la conobbi ad un convegno era una ventiseienne studentessa di giurisprudenza, candidata per Forza Italia al consiglio comunale romano. Rivolgendosi a me, dopo un mio intervento sull’urbanistica capitolina, mi disse: “Finalmente un liberale, qui è pieno di democristiani”. Anni dopo la vedo impegnata contro un progetto editoriale basato sulla libera concorrenza che consentiva a editori e venditori di abbassare il prezzo dei libri. Si era schierata dalla parte di chi vuole imporre il prezzo per decreto, alla faccia del liberalismo. La coerenza dei politici? Come l’araba fenice. Non è certo di Beatrice, di chi sia nessun lo sa.

  • Sono le conseguenze della degenerazione democratica, evidentemente già in corso (essendo candidata), che alla lunga impone l’ideale del “bene comune” sulla coscienza individuale.

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