Don Giovanni

Distruzione (keynesianamente) creatrice

“Una volgare chitarronata”: così il vecchio Giosue Carducci, divenuto ormai, da sfegatato estremista repubblicano qual era negli anni verdi, uomo ligio alle istituzioni( non insensibile, tra l’altro, al fascino della regina Margherita), giudicò il suo giovanile “Inno a Satana”: che,  se a suo tempo poté far scalpore, oggi ci fa soltanto sorridere. Brutto davvero, che più brutto non si può. Non per il  contenuto blasfemo in sé, ma per l’ostentazione di una blasfemia che, proprio per il suo eccesso, appare del tutto insincera, messa lì per scandalizzare i bempensanti. Il componimento voleva essere, nelle intenzioni, un’esaltazione del progresso scientifico e tecnologico, sulla scia del positivismo trionfante. Satana, che sfida il suo Dio, è l’emblema dello spirito prometeico che sfida le leggi della natura e le piega ai propri intenti, per il bene dell’Umanità. Bambinate.

Questo accadeva nell’Ottocento dei nostri bisarcavoli. Oggi, con mezzi tecnologici allora impensabili, si direbbe che qualcuno voglia ripeterne i fasti. All’inaugurazione del Traforo del Gottardo un illustre regista tedesco ( di quelli specializzati nell’annoiare gli spettatori più disarmati e sollazzare la critica più aggiornata), Volker Hesse, offre al pubblico dei più alti papaveri, tra cui i soliti Hollande, Merkel, Renzi e compagnia cantante, uno spettacolo indigesto, carico di astrusi simbolismi, che a molte anime candide pare un omaggio al Satanismo. Hesse come il giovane Carducci, inneggerebbe a Satana quale anima del Progresso. Sarà. A me, per quel poco che ho visto dalle immagini pubblicate su YouTube, non sembra neanche una volgare chitarronata, ma soltanto una solenne stupidata. In confronto, i poveri versi del giovane Carducci sono un raffinato capolavoro.
In somma, non è proprio il caso di scandalizzarsene. Certo, quel denaro si sarebbe speso meglio per sostenere le famiglie degli operai che nell’opera prometeica hanno perduto la vita. Anche una Messa sarebbe stata una scelta migliore, a dispetto del laico Hollande e dei suoi amici e colleghi. Meglio una croce che una bandiera. Non parliamo di dieci, venti, cento bandiere: da far venire il voltastomaco. Altri sono i motivi di scandalo, coi tempi che corrono. In questi giorni luttuosi, in cui un sisma ha colpito a morte una delle poche aree dell’Italia che ancora si possono amare per la dolcezza del paesaggio, le vestigia di un illustre passato, la bellezza delle opere d’arte e la cordialità della gente, qualcuno ha avuto il coraggio di rammemorare – come segno di un cordoglio unanime da cui può scaturire uno spirito di rinascita – una delle pagine più obbrobriose d’un passato non tanto lontano. Ricordate la vicenda del povero Alfredino Rampi, il bambino che cadde in un pozzo incustodito in mezzo ai campi, trovandovi la morte nonostante i pronti e generosi tentativi di soccorso? Si può dire che quasi tutta l’Italia poté godersi lo spettacolo di quei tentativi affannosi e, purtroppo, fallimentari, attraverso una diretta TV senza interruzioni, durata per tutta la notte. Fu uno spettacolo indecoroso, spudorato, reso ancor più indecoroso e spudorato dalla presenza, sul luogo delle operazioni, del presidente Pertini, al quale non sembrava vero di aggiunger nuovi punti alla sua già altissima popolarità, ostentando per quel caso pietoso un’ amorevole sollecitudine, specchio d’un dolore che faceva lacrimare l’Italia intera. No! “Un tal gioco, credetemi, è meglio non giocarlo… Il teatro e la vita non sono la stessa cosa”, dice Canio nei Pagliacci di Leoncavallo. Giustissimo, e valido in ogni circostanza. La rappresentazione del dolore attraverso la sublimazione dell’Arte è catartica, fa bene all’anima, come avveniva nella tragedia greca, e Aristotele, nella Poetica ci ha spiegato da par suo. Ma l’orrore che ci coglie davanti alla vicenda scenica di Edipo re non può essere lo stesso che proviamo davanti allo strazio della mamma di Alfredino o alle lacrime di chi nel terremoto ha perso tutto. Il caso Paradine di Hitchcock – con una Alida Valli splendida nel suo aspetto di gelo – è una vicenda giudiziaria fascinosa proprio perché fittizia. Le udienze in tribunale per fatti luttuosi dovrebbero invece opprimerci fino all’angoscia. Eppure c’è gente che per assistervi fa la fila. Si distribuiscono biglietti come per uno spettacolo. Vi ricordate le telecamere nelle aule giudiziarie al tempo di “Mani pulite”? Tutti diventavano attori, anche uno sfigato sostituto procuratore semianalfabeta (quello che diceva;”Non ho altre domande da chiederle”) diventava un divo dello schermo. Da vergognarsi.
Una vera manna dal cielo fu la vicenda del povero Alfredino per la Rai TV. Non si era mai vista una così alta percentuale di ascolti, per un tempo così lungo. In confronto, esperienze come Tosca nei luoghi di Tosca di Andrea Ackerman, che tenne inchiodato al teleschermo, in una notte estiva, uno sparuto stuolo di melomani, è roba da ridere.
Allo stesso modo, una vera manna dal cielo fu il terremoto dell’Aquila di qualche anno fa per alcuni palazzinari senza scrupoli, che non esitarono ad augurarsi sempre nuove scosse, a beneficio delle proprie saccocce. Anche in occasione di quest’ultimo sisma chissà quanti esponenti di mafia camorra e ‘ndragheta, che hanno le mani ben in pasta negli appalti pubblici e nell’edilizia, si stanno fregando le mani. E’ il cacio sui maccheroni!
E cacio sui maccheroni è anche per i politicanti e i loro tirapiedi, a dispetto delle lacrime di coccodrillo di cui si rigano le guance presentandosi ai nostri sguardi, e delle parole di circostanza con cui ci rintronano le orecchie.Il pensiero che pullula nel profondo della loro coscienza, e che non osano rivelare neppure a se stessi, è questo: il terremoto è, keynesianamente, distruzione creatrice. Se non ci fosse, bisognerebbe provocarlo, così come le altre disgrazie: inondazioni, incendi. Non è sempre facile. Però pensate a Nerone. Oggi si dice che non fu lui a incendiare Roma, ma io continuo a credere a Svetonio: fu proprio lui. Così poté sbarazzarsi di quei brutti quartieri popolari che insozzavano la città e costruire sull’area rimasta libera la sua sontuosa Domus Aurea. Quanto lavoro, quanta ricchezza! Quale sviluppo! Un keynesiano ante litteram. E, visto che non trovò di meglio che gettare la colpa della catastrofe sui cristiani, diede lavoro anche al boia e a chi procurava animali per le condanne ad bestias.
Anche il Renzino, sotto sotto, si frega le mani. Innanzitutto perché la catastrofe nazionale impone una tregua all’aggressività delle opposizioni, che subito si sono dette disponibili a collaborare. Qualcuno vede profilarsi all’orizzonte, fra lui e il Berlusca, un nuovo “patto del Nazareno”. Guarda guarda: sta a vedere che si riesce a vincere anche il referendum incombente, magari per il rotto della cuffia, e a salvare il cadreghino. E poi: davanti alle esigenze dei soccorsi e della ricostruzione, l’Europa dovrà pur smetterla di fare il viso arcigno. Deve permettere all’Italia di allargare i cordoni della borsa, senza troppo badare a deficit e a debito. Così la ripresa è assicurata. Un bilancio in profondo rosso è la miglior spinta alla ripresa. Non c’è nulla di meglio d’un padre ubriacone, d’una madre con le mani bucate e di ragazzi che spendono la paghetta in spinelli per garantire la felicità della famigliola. Che diamine! La ripresa è lenta, ma indubitabile. Avete letto le ultime notizie? Il fatturato dei servizi nel secondo trimestre del 2016 è aumentato dell’1% Allegria! Vacche grasse in vista, tutti i conti son da rifare. Cala intanto l’occupazione? Poco male, un bel reddito di cittadinanza per tutti, e il problema è risolto.
Tornando alle lacrime di coccodrillo: bisogna riconoscere che, in circostanze tragiche, i politici hanno il buon gusto di esprimere il loro cordoglio senza leggerlo su un foglio. Magari sono parole d’altri, ma hanno  l’accortezza di impararle a memoria. Anche questa volta è stato così. E bisogna riconoscere, parlo seriamente, senz’ombra di ironia , che il presidente Mattarella ha tenuto un atteggiamento encomiabile, senza ostentazioni, da vero signore. Chi invece non ha saputo fare a meno, neanche in una circostanza come questa, di tenersi davanti i suoi bei fogli per dichiarare la sua partecipazione al lutto è stato il solito Francesco della Pampa. Suvvia, si tratta di parlare in Italiano, non in latino! Valgono più tre parole smozzicate pronunciate a braccio ma sgorganti dal cuore che mille parolone scritte da qualche tirapiedi.
Ma quel che fa il Sommo Prete  va sempre bene. Ha detto che andrà presto a trovare i terremotati, per portare il suo conforto. Ascolti il consiglio di un libertino come me: se ne stia a casa, Santità. Preghi per quei poveri morti. Chieda al suo Dio di spiegarci perché tante vittime innocenti. Ci dica qualche bella parola sulla Teodicea, la Giustizia di Dio, ch’è un problema da far tremare le vene e i polsi, ma senza leggerla su un foglio. Ne abbiamo tanto bisogno. Non vada a intralciare le opere di soccorso e di ricostruzione. Lei è già fin troppo popolare, veda di non superare il limite della decenza. Prenda come esempio non l’ateo e socialista Pertini, ma il mite, cattolico, Mattarella.

Giovanni Tenorio

Libertino