Don Giovanni

Capitalismo e moralità

Il capitalismo è immorale. Il profitto, oltre un certo limite, diventa cupidigia. L’ha detto anche Francesco (della Pampa)? No, questo lo sapevamo già. Solo che Francesco fa scuola, anche laddove meno te lo aspetteresti. Anche fra i capitalisti DOC, come Sergio Marchionne, il capitano d’industria che ha “salvato” la FIAT con tanti bei giochetti, raggranellando un gruzzoletto personale che – se il Vangelo va interpretato “sine glossa”- gli renderà più difficile entrare nel Regno dei Cieli di quanto non sia per un cammello penetrare attraverso la cruna di un ago. Se il suddetto signore voleva dire che il mercato non ha nulla che fare con la morale, ha scoperto l’acqua calda. Ma non ha voluto dir questo: uno come lui, che ha studiato filosofia, dovrebbe sapere che l’ha già spiegato egregiamente Benedetto Croce. L’Economia attiene all’utile, l’Etica al giusto. Sono indipendenti. Anche l’Arte è indipendente. Altrimenti dovremmo dire che la Venere di Urbino di Tiziano è immorale perché scandalosamente nuda. No, Marchionne, voleva semplicemente dire che questo capitalismo di oggi è immorale. Potremmo essere d’accordo con lui: è immorale perché – diciamo noi – lascia poco spazio a un vero mercato concorrenziale, è pesantemente condizionato dalla politica, opera all’interno di un sistema finanziario impazzito in cui non contano più i “fondamentali” dell’attività produttiva ma le manipolazioni  delle banche centrali, che, stampando moneta falsa e  fissando tassi d’interesse del tutto avulsi dalle dinamiche della domanda e dell’offerta  provocano bolle speculative spaventose, con l’avallo delle politiche governative. Così diciamo noi, ma lui dice il contrario. Quel che è capitato nell’economia mondiale dopo lo scandalo dei “mutui subprime” e il fallimento della Lehman Brothers, con tutto quanto n’è seguito, sarebbe l’effetto di un capitalismo selvaggio, privo di regole. Quindi la cura sarebbe meno mercato e più Stato, non più mercato e meno Stato. Cicero pro domo sua. In questo capitalismo deforme Marchionne ci ha sguazzato e ci sguazza. Lo vuole ancor più deforme, per sguazzarci ancora di più.

Fortunatamente c’è qualcuno che voga controcorrente. Sul “Giornale” Lorenzo Infantino ha avuto il coraggio di proclamare che il denaro non è sterco del diavolo, ma una gran bella invenzione, grazie alla quale l’umanità si è da lungo tempo emancipata dall’ingombrante sistema del baratto, avviandosi verso un sistema di scambio più agevole e più fluido, lontana premessa di quella “rivoluzione capitalistica” che, con lo sviluppo della scienza e della tecnica, ha dato inizio al mondo moderno. Piero Ostellino ha ripreso il discorso da par suo, nell’alveo di un pensiero liberale classico che fortunatamente sa ancora difendere i suoi bastioni, nonostante le cannonate che ogni giorno riceve da tutti i lati, destra, centro, sinistra, preti, atei, massoni, bacchettoni, sindacati dei lavoratori e Confindustria, padroncini che tirano a campare e imprenditori dalla scarsella piena di marenghi come Sergio Marchionne.
A Ostellino però mi permetto di fare un appunto. Nel suo bell’articolo ripropone la vulgata del capitalismo figlio dell’etica protestante, diffusa da un troppo famoso saggio di Max Weber e confutata, con dovizia di argomentazioni, da Luciano Pellicani. Secondo tale teoria la rivoluzione industriale sarebbe sbocciata nel Nord Europa e avrebbe tardato a svilupparsi nei Paesi latini perché lassù vigeva il protestantesimo, che, specialmente nella sua versione calvinista, vede nel successo terreno il segno della benevolenza divina, mentre quaggiù, fra i terroni, il cattolicesimo ha sempre avversato la ricchezza e le attività volte al profitto. Capovolgendo il pensiero di Marx, che vedeva nella religione “oppio del popolo” una sovrastruttura determinata dai rapporti di produzione, Weber vedeva nel pensiero religioso e nell’etica che ne consegue la matrice delle dinamiche economiche. Troppo semplice. Vero, come dice Marx, che spesso la religione è copertura di interessi assai meno nobili. Altrettanto vero, come dice Weber, che spesso sono le idee a condizionare l’evoluzione sociale, e non viceversa. Ma ancor più vero che, nella coscienza del credente comune, cattolico o protestante che sia, spesso e volentieri diavolo e acqua santa riescono miracolosamente a conciliarsi. Pellicani cita testi protestanti in cui la ricchezza e il profitto sono duramente condannati. Nella Toscana di Dante e di di Boccaccio ferveva un’attività economica ricchissima, ad opera di gente devota che, come il pratese Francesco di Marco Datini, sapeva concludere affari nel nome di Dio e del denaro. Tutto il Decameron, come ha ben detto Vittore Branca, celebra l’epopea dei mercanti. Mercanti e banchieri che non erano solo fiorentini. Il sistema bancario moderno nasce nell’Italia centro – settentrionale durante l’autunno del Medio Evo. Nella City di Londra c’è ancora oggi una “Lombard Street”, il cui nome basterebbe da solo a smentire Max Weber . Se c’è una regione economicamente sviluppata, al livello di molte aree nord-europee e insieme, almeno fino a ieri, superbigotta, è proprio la Lombardia. Andate nel Bergamasco: terra di grandi bestemmiatori, ma ogni due passi trovate un santuario della Madonna, con i suoi bravi miracoli. In Brianza oggi hanno sede Radio Maria e un’altra radio concorrente sempre intitolata alla Madonna, ciascuna con uno stuolo di devoti e assidui ascoltatori. E che dire della Baviera? Terra cattolica, i cui abitanti sono molto più simpatici degli austeri tedeschi dell’area luterana: sanno conciliare la Messa con le bevute di birra e sprizzano una gioia di vivere non dissimile da quella dei terroni. Ma sono loro, oggi, i più ricchi della Germania. E allora? Tutto il paradigma di Max Weber va a farsi benedire. Anche il vorticoso sviluppo del Veneto, terra cattolicissima, negli anni immediatamente antecedenti alla crisi che ancora incombe sul Bel Paese (e non solo) ne è una secca smentita.
L’Italia, dopo le glorie dell’età comunale, è piombata nel sottosviluppo perché ha perduto la libertà. Il dominio spagnolo, anche se forse non è stato così turpe come Manzoni l’ha dipinto, non le ha fatto bene. Molto meglio gli austriaci (cattolici anche loro!) che, guarda caso, hanno avuto sotto di sé la Lombardia proprio negli anni delle grandi riforme illuministiche di Maria Teresa, Giuseppe II e Leopoldo II: erano gli anni in cui il mio papà Mozart, ancor giovanissimo, veniva accolto a Milano con tutti gli onori, come un concittadino, non come uno straniero. Bei tempi. Poi sono arrivati quei prepotentoni di francesi, a portare la loro libertà giacobina. La Restaurazione ha aggravato i guasti. I Savoia hanno fatto l’ultima frittata.
Permettetemi di andare controcorrente e di fare un po’ di Storia controfattuale, come oggi si dice. Pensate un po’ che cosa sarebbe diventato il Bel Paese se fosse stato unificato nel Duecento da Federico II di Svevia, lo “Stupor Mundi”. Lo so, oggi non gode di buona fama, perché Abulafia ha controbattuto con qualche successo le tesi di Kantorowicz che ne aveva fatto il primo sovrano moderno, e lo ha riconsegnato al Medio Evo*. Io rimango con Kantorowicz. E non credo affatto, sulla scia d’una storiografia di marca leghista, che la lotta del sovrano svevo contro i liberi comuni avrebbe soffocato lo sviluppo economico. I comuni, diventati signorie e principati, sono morti ugualmente, per la loro debolezza, Federico II di Svevia aveva cominciato a ridurre le prerogative dei preti e quelle dei feudatari. L’Italia avrebbe avuto uno sviluppo più uniforme. Non si sarebbero dovuti aspettare quei prepotentoni di francesi per avere, nel Sud, un’eversione della feudalità tardiva e piena di contraddizioni, che avrebbe lasciato come eredità velenosa la nascita e lo sviluppo di mafia, camorra e ‘ndrangheta**.
Detto questo, Ostellino ha ragioni da vendere quando vede nella predicazione del papa regnante una iattura. Però quel che a me fa più rabbia non è il suo pensiero economico, ispirato a un anticapitalismo generico e fumoso, ma proprio il suo pensiero religioso. Una bestemmia dopo l’altra. D’altra parte, i primi ad aver poca reverenza per la religione sono proprio i preti. Avete presente che cosa dice, nella famosa novella di Boccaccio***, quel santo prete a ser Ciappelletto, che si accusa, in una finta e furbesca confessione, di aver sputato in chiesa? ” Figliuol mio, cotesta non è cosa da curarsene: noi, che siamo religiosi, tutto il dì vi sputiamo”.
* Vedi D.ABULAFIA, Federico II.Un imperatore medievale, Torino, Einaudi,1990 ; E. KANTOROWICZ, Federico II imperatore, Milano, Garzanti, 1976
** “…il Sud, pur non avendo avuto le “Signorie” rinascimentali, ha ben sperimentato la frammentazione del potere statuale e le prepotenze dei signorotti locali, anche se formalmente era governato da viceré. Non è dunque causa della sua arretratezza e della penuria di senso civico l’assenza dei signorotti locali ma quella di un forte, radicato e legittimato potere centrale. D’altra parte aver costruito delle monarchie accentrate già secoli addietro non ha reso certo la Francia e l’Inghilterra meno civili di altre nazioni” (I.SALES, Storia dell’Italia mafiosa, Soveria Mannelli , Rubbettino, 2015 pagg. 123-124)
*** G. BOCCACCIO, Decameron, giornata prima, novella prima.

Giovanni Tenorio

Libertino